Una panoramica visiva sull’Italia in lockdown, un viaggio a partire dalle isole divise dal mare della quarantena verso la ripartenza di un Paese che resiste e che lotta per tornare Arcipelago.
La sera del 9 marzo è stato come l’inizio di una serie.
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in conferenza stampa annunciava che dal giorno successivo l’Italia sarebbe diventata una “zona protetta”, decretando così una quarantena nazionale che sarebbe durata fino al 4 maggio. Tutto d’un tratto le immagini che avevamo visto a Codogno, a Nembro o a Vo’, ce le siamo ritrovate fuori dalle nostre finestre, sui nostri quotidiani locali, disperse nei social.
Era l’inizio delle città vuote, della chiusura delle aziende, non tutte però. Le scuole e le chiese chiuse, gli spostamenti proibiti, l’inizio delle numerose autocertificazioni. Guardavamo la Cina con sarcasmo e tutto d’un tratto ci siamo svegliati con le città vuote e gli ospedali pieni. Le strade e le piazze deserte come non mai, silenzi interrotti dai primi flash mob ai balconi, che hanno avuto però vita breve, non come il suono delle ambulanze. Chiusi in casa, ma improvvisamente nel centro del mondo.
Gli annunci delle conferenze stampa del Governo, il bollettino delle 18.00 con i numeri del Covid-19. I primi dubbi, gli immancabili complotti, i professionisti dello sciacallaggio. Come in una serie. Ma non c’era finzione. Le terapie intensive si riempivano ogni giorno di più. La Lombardia come centro del vortice. I medici da Cuba, dalla Cina, dalla Russia. La retorica degli eroi e la consapevolezza dell’importanza della sanità pubblica e l’inaccettabile vergogna dei suoi tagli.
Ancora il bollettino delle 18, la speranza di un appiglio. Picco, flat, curva epidemica, pandemia, paziente zero. Le telefonate ai genitori, le rassicurazioni che tanto muoiono solo gli anziani. I primi coetanei morti. La paura e la perplessità. Chiudere tutto, aprire tutto. Gli aperitivi social, le città e l’hashtag #nonsiferma. L’esercito che trasporta le bare, i cimiteri pieni, il lutto negato. I numeri in continua crescita, i primi politici contagiati. Il virus che scavalca le frontiere. L’economia o la vita.
La riscoperta delle mura domestiche, dell’intimità, delle relazioni di prossimità. L’invidia di chi sta in campagna, l’oppressione della città. L’inversione dei paradigmi e la consapevolezza dell’importanza della libertà.
La speranza che quando passerà tutto si capirà che l’individuo è nulla senza la società. I primi tentativi di solidarietà, il distanziamento sociale ma non l’allontanamento sociale. La quarantena volontaria, quella fiduciaria e quella obbligatoria. La caccia alle streghe vestite da runner, le fabbriche ancora aperte, la delazione come sfogo.
Le città non sono vuote, ci sono sempre le/gli invisibili. Il virus non colpisce tutti allo stesso modo. Immaginate di vivere per strada e tutto d’un tratto aprire gli occhi e non trovare più niente. Dalla moneta data per strada, alla presa per la batteria del cellulare, al pasto donato o alle parole prima di andare a dormire. C’è chi ha perso il lavoro e chi non ce l’ha mai avuto. Il doversi reinventare tutto, riprogrammare, mettere le pezze per arrivare alla data di fine decreto, che poi sarà solo l’inizio di un altro. Le prime misure di sostegno, la coperta troppo corta. Chi piange miseria e non chi non ha neanche più le lacrime.
E cosa penseranno i bambini? Vi immaginate quelle trottole cariche a molla costrette a stare dentro casa, tutto il giorno, tutti i giorni. L’importanza di toccare, provare, sbagliare, sporcarsi, piangere e urlare. Cosa gli rimarrà addosso, cosa perderanno per strada. Apriranno gli occhi in un mondo pieno di mascherine, di sorrisi nascosti e linguacce negate. Sono sempre quelli senza colpa a rimetterci di più.
Ma questo è un via libera? Congiunti o stabili? Siamo arrivati di fronte a un formicaio di dubbi, interpretazioni, esasperazioni e assurdità. Dopo la fase uno, ci sarebbe la fase due. E poi la fase 3, ma la chiamano sempre fase 2.
Ma che vuol dire? Si può o non si può? Intanto si ricomincia a respirare un poco, anche solo per i senza colpa di prima.
Che bello rivederl* in mezzo all’erba no? Guardiamo però sempre anche gli ospedali, non ci sono eroi, ma lavoratori e lavoratrici che si aspettano rispetto da noi.
Che poi bisogna stare attenti, che finiamo nei libri di storia e mica ci vogliamo fare brutta figura no? Teniamo sempre gli occhi aperti, cominciamo a costruire ponti, così che piano piano tutte le isole possano tornare Arcipelago.
In copertina: Genova, foto di Marco Balostro/Freaklance